Sandro Sansonipittore

Il mezzo è la pittura intesa come tecnica propria delle regole classiche ma non c’è ricerca del formale fine a se stesso. Tutto è essenziale: il corpo, le luci, l’assenza di sfondo. Gli accenti surreali sono la forma delle percezioni, il mezzo serve a far venire alla luce stati della mente come memoria della storia personale ma anche della storia collettiva dell’essere umano, con una prospettiva al femminile i temi della violenza, del sacrificio, della follia.

Cloris Broscaattrice

Isabella Tomassetti non ignora il dolore o le inquietudini che abitano il nostro mondo, lo si capisce dalla sensibilità che anima i suoi quadri, ma preferisce soffermare il suo sguardo su quanto di soave c’è intorno a noi. Richiama la nostra attenzioni su figure che si stagliano come apparizioni estive su muri grezzi dipinti a calce viva. In questo contrasto tra il nitore dello sfondo e il colore delle figure si racconta come di una muta sorpresa alla vista del quotidiano, del non sensazionale – quasi un’epifania – quando, finalmente, si hanno occhi per vedere e si riconosce l’armonia del mondo che ci circonda. Senza eccessi, con una tranquillità che racconta la fiducia in tanta calma bellezza, Isabella mostra anche agli altri il sentimento che l’ha colpita in una massa di capelli scomposta, che diventa metafora delle inquietudini del personaggio dipinto, nelle membra di bambine ritratte di schiena, che non hanno bisogno di mostrare il volto per raccontare la grazia e la tenerezza dei loro piccoli corpi. I suoi quadri rivelano l’incanto delle piccole cose che si offrono disarmate ai nostri occhi e raccontano in silenzi e sussurri la straordinaria bellezza dell’ordinario. E quando infine si avvicina al dolore, al disagio, o all’intuizione del male, in Isabella, la sorpresa lascia il posto allo sgomento di fronte al persistere della bellezza anche in aspetti inquietanti della vicenda umana. Il suo sguardo non giudicante – quasi una dichiarazione di non-innocenza di fronte ai mali del mondo – rivela allora una dolenza che è insieme partecipazione e presa in carico dell’ingiustizia che incontra, senza mai rinunciare alla fiducia nel potere di guarigione che la bellezza porta con sé. 

Nicoletta Frapiccini – storica dell’arte 

Isabella Tomassetti

 indaga il mondo femminile con sguardo acuto e penetrante, partecipe dei turbamenti più delicati, delle inquietudini remote, dei drammi inconfessabili di un universo che le appartiene e di cui condivide il sentire, con lucida e pacata consapevolezza. Sulle sue tele si materializzano gli stati dell’animo, ora evocati dalla gestualità pregnante e dall’esplicito linguaggio del corpo femminile, iperreale, nudo e intriso di luce nitida, dai riflessi metallici; ora affidati all’eloquente e disarmante espressività del volto. Bambine e donne in primo piano, dai tratti che tradiscono le emozioni, che denunciano eventi, che rivelano intimi pensieri, anche quando appaiono compunte e impassibili come Carla o quando aprono surreali spazi per mostrare le loro Farfalle interiori, impazzite come idee rese impotenti o incapaci di manifestarsi, ma quanto mai vive e presenti, leggere e variopinte espressioni di una identità negata. L’artista si addentra spesso in una muta sofferenza che ha inizio sin dall’infanzia e traspare da grandi occhi ipnotici e intensamente assorti, forse afflitti da pensieri già adulti ne Il dolore, e si compenetra nella tristezza di un’innocenza rubata che si materializza nella malinconica fanciulla inginocchiata dentro un abito fuori misura ne Le regard retenu, lasciando infine che sia l’attonita ingenuità di uno sguardo infantile, e l’accidentale scendere di una spallina, a rivelare un’ infamia ne Lo sguardo abusante, in presenza dello stesso riguardante. Luci e ombre delineano l’esile fragilità di giovani fanciulle dai mesti pensieri, che ne L’ombra si nascondono sotto un grande cappello rosso. Gli eventi si consumano al di fuori del dipinto, eppure sono concretamente presenti attraverso la forza evocativa dei personaggi, anche quando si abbandonano a un sonno finalmente ristoratore in una Tratta di ritorno, dopo la quotidiana fatica di vivere. Volti che comunicano e volti che si sottraggono alla vista, si rivelano a tratti e parzialmente, con grazia lieve, attraverso la trasparenza di un velo fiorato, che occulta lo sguardo, o si rifugiano nel riserbo quando la disperazione ha il sopravvento, ammantandosi di capelli, come quelli che celano le lacrime nell’ Animi cruciatus, o nell’abbandono vinto e inerme de La resa. Donne solitarie, stagliate su fondi monocromi, assurgono a personificazioni di simboli arcaici e immortali: Ananke, il destino imperscrutabile, volge altrove il capo dai lunghi capelli annodati, bloccata contro un muro e come senza scampo; Ate, la fatale discordia, fluttua con forme seducenti e notturna malvagità; e Mnemosyne, la memoria e prima Musa, si materializza con leggerezza apparentemente scanzonata, emergendo dalle tenebre alla luce diafana dell’Arte. In questa galleria di personaggi femminili trova spazio la malia della maga, trasfigurata nel volto dolcemente incantatore di Matteuccia, di cui solo i capelli serpentini di Medusa tradiscono la natura. Stagliata sul fondo di baluginanti riflessi dorati, seducente e misteriosa nella sua ambiguità, Matteuccia è moderna incarnazione di ataviche maliarde, da Circe a Medea a Morgana, scaturita anch’essa dalle più riposte angosce maschili. 

Dino Marasà – critico d’arte

Un vigoroso talento compositivo accompagna l’artista Isabella Tomassetti, la quale ritrae l’umanità nelle sue espressioni più comuni e familiari. E di spalle per conferire un alone di mistero ai suoi personaggi. Interpreti di varie situazioni, in disparati paesi del mondo, rivelano innate capacità introspettive e metafisiche, che sono formidabili nelle loro evoluzioni concettuali.

Daniela Pelliccia – membro dell’AIPA e scrittrice

Il percorso artistico di Isabella Tomassetti, il suo dipingere, prende vita nella contingenza, e nell’urgenza, di dare forma a un sentire interno non altrimenti attingibile – come già ci raccontano i sogni – che in immagini. Isabella ci conduce al cuore della creatività inconscia come itinerario ‘matriciale’, divenire simbolico  e generativo del dialogo di colori e affetti tra noi e gli altri, tra noi e il mondo. E’ data una strana redenzione del sentire, finanche della sofferenza sembra dirci Isabella, nel dono della forma che ci viene incontro. La messa in figura conferisce confine, e misura. Esiste un talento di esprimere creativamente la vita che sconfina nel talento dell’arte? E dove collocare la linea di confine tra la capacità di configurare dello sguardo e movenza creativa delle cose che ci riguardano? Nel divenire generativo della forma tutto parla del mondo e tutto parla di noi. La ricerca espressiva di Isabella mi riporta indietro, allo sguardo di Kathe Kollwitz, la pittrice socialista che all’inizio del secolo scorso mette nelle sue tele, con pacato disincanto, il dolore resistente e la solidarietà delle donne, delle madri, prese nella stretta dei lutti e della guerra. Ma viene alla mia mente anche, in avanti, la potente espressività della giovane artista Nathalie Djurberg. Il dialogo tra i suoi video e le sue istallazioni, attraverso un gioco di contenitori e contenuti, sembra reduplicare per me, spettatrice-fruitrice, la tematica profonda di questa artista legata alla proposta femminile e matriciale di una nascita congiunta – ancora una volta tesa ai limiti dell’esperienza onirica – di senso, di materia e di forma.